martedì 26 marzo 2013

I Verdi-Verdi e la pulce gigante

Lo si è visto prima: il 2004, con il doppio carico del turno più consistente di elezioni amministrative e il rinnovo del Parlamento europeo, era un’occasione troppo ghiotta per gli ambientalisti diversi dai Verdi perché se la lasciassero sfuggire. Le amministrative, tutto sommato, erano alla portata delle formazioni in attività fino a quel momento, ma per le europee ci sarebbe stato bisogno di raccogliere molte, troppe firme: un traguardo praticamente impossibile da raggiungere. A meno che…  
C’era una possibilità, in effetti: sfruttare un comma della legge elettorale vigente, che permetteva a una lista di non procurarsi le sottoscrizioni richieste se avessero ospitato nel loro contrassegno una “pulce”, ossia un simbolo in miniatura di una formazione che aveva eletto almeno un parlamentare. Già, ma quale simbolo? Quale dei partiti avrebbe avuto interesse ad avallare la presentazione di una lista minoritaria? Forza Italia, per esempio, che aveva tutto da guadagnare da un indebolimento dei Verdi. Non avrebbe messo a disposizione il suo simbolo, ovviamente, ma quello della lista «Per l'abolizione dello scorporo e contro i ribaltoni»: si trattava della “lista civetta” che era stata utilizzata dal partito di Berlusconi nel 2001 per collegare i propri candidati deputati della quota maggioritaria, senza quindi che i loro voti fossero sottratti nella quota proporzionale in base al sistema dello “scorporo”. 
Il simbolo, dunque, sarebbe stato a disposizione dei Verdi-Verdi di Maurizio Lupi e di Roberto De Santis, nonché dei Verdi Federalisti di Laura Scalabrini, invitati a riavvicinarsi sempre da ambienti forzisti. La prima decisione del gruppo riguardò la scelta del simbolo, non senza liti: se Lupi avrebbe voluto mantenere l’elemento grafico dell’orsetto (lasciando la dicitura Verdi Federalisti come elemento testuale), passò la linea di De Santis, che preferì lasciare la parte grafica alla Scalabrini, con il suo girotondo di bambini, per privilegiare invece il nome dei Verdi-Verdi («La denominazione era una scelta chiaramente identificativa della nostra collocazione e del nostro approccio e antitetica ai Verdi rossi» avrebbe raccontato in seguito proprio De Santis).
Naturalmente la Federazione dei Verdi fece debitamente ricorso in tutte le sedi, tanto alle elezioni amministrative (comune per comune), quanto a quelle europee. Protestò con veemenza Paolo Cento in Parlamento, sentendosi dire dal forzista Gregorio Fontana che «i movimenti Verdi Federalisti e Verdi Verdi da molti anni si presentano a consultazioni elettorali […] e rappresentano, com'è noto, l’ambientalismo non schierato a sinistra, non integralista e che, a livello politico nazionale, sostiene la Casa delle libertà. Nessuna truffa, quindi, nessun imbroglio riguardo alla presentazione di questo simbolo per le elezioni europee», mentre i Verdi avrebbero solo voluto estromettere un potenziale concorrente dalle elezioni.

In prima battuta, tra l’altro, a essere escluso dalla consultazione più importante fu proprio il simbolo del sole che ride, perché era stata inserita dicitura «con l’Ulivo» senza che i Verdi facessero parte dell’alleanza: il tempo per i Verdi-Verdi di distribuire alla stampa una nota dal titolo memorabile («Caro Alfonso non fare il Pecoraro») e il contrassegno fu debitamente modificato e accettato, ma l’offensiva presso le corti di tutta l’Italia continuò. In qualche modo la strategia pagò: i Verdi riuscirono a far considerare confondibile quasi ovunque – per colpa dei colori e della parola «Verdi» in particolare evidenza – il contrassegno composito della nuova formazione ambientalista, estromettendola dalle elezioni. Alle europee, invece, andò diversamente, ma la vicenda fu se possibile ancora più complessa.
Dopo che l’ufficio elettorale presso la Cassazione aveva riconosciuto che «la parola “verdi”, […] appartenendo ad una vasta area politico-culturale a livello sia nazionale che europeo, non è in sé fattore individualizzante decisivo» e che i due emblemi non erano a ben guardare confondibili, in una manciata di giorni il Consiglio di Stato praticamente ribaltò il verdetto: non solo i giudici di palazzo Spada ritennero che i due contrassegni si potessero in effetti confondere, ma aggiunsero che ciò si sarebbe potuto evitare ingrandendo a dovere il simbolo della “lista antiscorporo”, anche perché proprio grazie a questo è stata evitata la raccolta delle firme.

La decisione, piuttosto inconsueta per il contenzioso noto fino a quel momento, avrebbe comunque permesso alla lista ambientalista di partecipare alle elezioni, ma solo ingigantendo la “pulce”. La soluzione, a dirla tutta, non soddisfò comunque i Verdi, che presentarono un’interrogazione urgente, lamentando di non aver avuto la possibilità di ricorrere contro l’ammissibilità di un emblema ritenuto ancora troppo confondibile. Soprattutto, però, a masticare molto amaro fu la lista “ammessa su condizione”, un po’ perché il potenziale dell’operazione politico-elettorale era stato inevitabilmente ridotto, un po’ per alcuni fatti accaduti in quegli stessi giorni: il racconto è di nuovo di Roberto De Santis, nel suo libro Da una “grigia” a una “verde” politica: «Era chiaro che eravamo stati abbandonati al nostro destino, anche perché i Verdi del sole che ride misero in atto una serie di manifestazioni attaccando pesantemente il premier Berlusconi e a bordo di gommoni circondarono la sua villa in Sardegna, oggetto di recenti e profonde ristrutturazioni. La villa era stata trasformata in un bunker di tutta sicurezza e i Verdi del sole che ride minacciarono azioni e denunce per opere realizzate in totale violazioni di leggi ambientali. Per Forza Italia poteva essere un’arma a doppio taglio e dal Ministero degli Interni, dove sedeva un esponente dello stesso partito, ci arrivò questa insolita richiesta [di modificare il simbolo, ndb]».
Alle elezioni la lista, senza mezzi e senza manifesti, sfiorò lo 0,5%; la Fiamma tricolore, con lo 0,8% ottenne un parlamentare, Verdi-Verdi e Verdi federalisti niente, con varie recriminazioni in fase di scrutinio («Si scoprì che in molte sezioni, dove il voto era attribuito ai Verdi Verdi, veniva diversamente assegnato ai “cugini” del sole che ride – racconta ancora De Santis – furono circa diecimila le schede contestate che, se attribuite correttamente, avrebbero probabilmente coronato il nostro progetto»). I Verdi, ovviamente, respinsero categoricamente ogni accusa di broglio o indebito vantaggio, ma si sentivano comunque tranquilli: con quell’ordinanza nel carniere, da lì in avanti sarebbe stato più facile evitare altre grane “simboliche”. Manco a dirlo, ci avevano preso.

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