sabato 3 maggio 2025

Sotto i mille (2025): introducendo l'anno degli eccessi nei microcomuni (di Gabriele Maestri e Massimo Bosso)

Anche nel 2025 si vota, ma un po' meno rispetto agli altri anni
, almeno se ci si concentra sulle elezioni amministrative. Si è già detto che, in base all'orientamento del Ministero dell'interno, i comuni che hanno votato nell'autunno del 2020 (e del 2021) per evitare i periodi ritenuti più rischiosi per la pandemia Covid-19 dovranno tornare alle urne nella primavera del 2026 (e del 2027): quest'anno, dunque, rinnoveranno le loro amministrazioni solo quei comuni che sono rimasti senza sindaco per motivi "diversi dalla scadenza del mandato", cioè dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza (per sfiducia o altre ragioni) o - purtroppo - decesso del primo cittadino. 
Dei 117 comuni chiamati al voto nelle regioni a statuto ordinario, il più rilevante è sicuramente Genova (dopo l'elezione di Marco Bucci alla presidenza della giunta della Liguria), cui si aggiungono alcuni capoluoghi di provincia (Ravenna, Taranto, Matera). A conti fatti, però, il teatro delle elezioni "sotto i mille", quindi nei comuni più piccoli, risulta essere il più interessante, soprattutto per l'accentuarsi - imprevisto, ma nemmeno troppo - di alcuni fenomeni già incontrati in passato e raccontati puntualmente in questo sito, ma quest'anno impossibili da ignorare. 
Il quadro da indagare nella microItalia che vota, in effetti, quest'anno è decisamente ristretto: nel 2025 nelle regioni a statuto ordinario sono solo 12 i comuni con meno di mille abitanti chiamati al voto. In queste località nel 2021 gli abitanti risultavano essere in totale 5758 (e gli elettori, che comprendono anche gli iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero, sono 9633), ma sono state presentate addirittura 107 liste, tutte rigorosamente senza bisogno di raccogliere firme (come disposto dalla legge). Praticamente una media di 9 liste a comune, ma in alcuni si è decisamente esagerato, specialmente a Bisegna - piccolissimo centro aquilano con 207 abitanti nel 2021, 2012 abitanti alla fine del 2021 e 340 elettori - con 25 liste presentate e (in assenza di irregolarità rilevate) tutte pronte a finire sulla scheda elettorale. Una concentrazione di candidature tra l'incredibile e l'assurdo, lì e altrove, in grado di produrre situazioni che rasentano il ridicolo e che - salvo probabilmente qualche eccezione - poco o nulla hanno a che fare, non solo con la normale vita amministrativa, ma anche con la politica in genere. 
Nella maggior parte dei comuni da considerare, infatti, oltre alle liste locali e a qualche candidatura di piccoli movimenti politici, si registra la presenza di manciate di liste cui sembra impossibile - pur con tutte le migliori intenzioni e la più umana indulgenza - attribuire uno scopo diverso rispetto all'ottenimento di licenze elettorali: quel fenomeno si registra da diversi anni, sopratutto in alcuni regioni del Centro-Sud, ma ormai ha raggiunto un dimensione di carattere nazionale, destando anche l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa. 
Di solito l'analisi delle elezioni "sotto i mille" su questo sito viene fatta a voto concluso, ma questa volta il fenomeno è talmente macroscopico da richiedere un'analisi anticipata. In questo articolo si porranno le basi della ricerca, utili per preparare chi vorrà leggere a un viaggetto in 9 tappe (delle 12 possibili); dopo il voto, ovviamente, sarà utile tirare qualche somma, a costo di rimanere inchiodati allo 0 nei casi di liste "usa e getta" (o interpretate come tali da elettrici ed elettori).
 

Numeri che parlano (anzi, che gridano)

Le elezioni "sotto i mille" nel 2025 (Dati: Ministero dell'interno)

Vale la pena iniziare dando i numeri, anzi, alcuni numeri ben precisi. Si diceva che i comuni con meno di mille abitanti chiamati al voto nel 2025 sono soltanto 12. Di questi, ben 9 - dunque il 75% - vedranno finire sulle schede un numero abnorme di liste, soprattutto rispetto alla loro storia elettorale dal 1993, cioè a partire dall'anno in cui la legge n. 81/1993 - la stessa che ha introdotto l'elezione diretta del sindaco - non ha più richiesto la raccolta di firme nei comuni "sotto i mille". I casi di San Nicolò di Comelico, nel bellunese (una sola lista) e dei due microcomuni calabresi di Jacurso (Cz) e Spadola (VV), entrambi con due sole liste, sembrano anzi quasi eccezioni al fenomeno imperante, al punto che verrebbe da chiedersi perché quei luoghi siano stati "risparmiati".  
Nei 9 comuni da considerare con attenzione, dal 1993 in avanti si sono quasi sempre presentate una, due o tre liste. Soltanto ad Orero, in provincia di Genova, nel 2011 si sono presentate 5 liste, lo stesso numero di formazioni che elettrici ed elettori troveranno sulle loro schede il 25 e il 26 maggio prossimi; l'anomalia qui sembrerebbe limitata, ma il confronto con le due sole liste presentate nel 2021 e nel 2016 - insieme ad alcune delle formazioni presentate, già ampiamente citate negli articoli degli anni scorsi relativi ad altre zone d'Italia - non può far etichettare il caso come "normale". Negli altri 8 comuni da passare in rassegna, in compenso, il numero di liste è decisamente più elevato e non ci sono solo i record del tutto inediti di Bisegna (25 liste, come si è detto, quando in passato se n'erano sempre affrontate 2) o dei comuni campani di Senerchia (Av, 20 liste), Castelnuovo di Conza (Sa, 10 liste), Ispani (Sa, 7 liste) e Sant'Angelo a Fasanella (Sa, 11 liste); spiccano anche le 9 liste di Calvignano (Pv) e San Giacomo Vercellese, come pure le 6 di Malvicino (Al), vale a dire in zone in cui - al di là di varie liste "esterne" e di alcuni casi eclatanti, debitamente raccontati da chi scrive nel libro M'imbuco a Sambuco nel 2019 - non si erano mai registrate schede così affollate in comuni tanto piccoli.
Proprio questi numeri fanno capire che qualcosa di strano è accaduto e sta accadendo. E che, probabilmente, sta accadendo anche in luoghi in cui prima non si verificava perché molti dei comuni in cui determinate dinamiche erano già state sperimentate quest'anno non sono stati interessati dal voto (a partire da quelli del Molise, in passato vera "terra di meraviglie", ricca - suo malgrado - di casi incredibili).
 

Il cocktail normativo tossico (almeno meno nelle regioni ordinarie)

Alla base di quest'invasione c'è un cocktail normativo non intenzionale, ma che a lungo andare si è rivelato tossico (e, a giudicare dalla ripetizione di determinati nomi, drammaticamente irresistibile). 
Il primo ingrediente, come si ricordava all'inizio, è costituito dalla presentazione delle liste senza la necessità di raccogliere le firme. Prima che venisse approvata la legge n. 81/1993, nei comuni con meno di 2000 abitanti occorreva raccogliere 10 firme; fin dal primo testo esaminato dall'aula di Montecitorio nella XI legislatura, però, si era già rinunciato a richiedere le sottoscrizioni "sotto i mille" (art. 3, comma 2 della legge n. 81/1993), partendo dalla proposta di legge presentata dalla Dc (primo firmatario Adriano Ciaffi, allora presidente della commissione Affari costituzinali) e non si registrarono quasi proposte alternative sul punto (mentre si polemizzò, e molto, sull'innalzamento delle firme richieste nei comuni più grandi). Si evitò di chiedere le firme nei microcomuni perché lì, dove "tutti si conoscono" (Diego Novelli, La Rete), sarebbe stato inutile chiederle, ma anche perché in quella dimensione sostenere chi si candidava contro il sindaco uscente avrebbe potuto esporre i firmatari - comunque noti sia al personale politico sia agli impiegati comunali, chiamati spesso ad autenticare le sottoscrizioni - ai giudizi delle persone o a potenziali ritorsioni (magari camuffate con "difficoltà burocratiche"). Ciò ha reso sicuramente più facile agli autoctoni presentare liste, ma ha aperto la porta anche a chi voleva partecipare alla competizione da esterno, per tentare di far radicare una forza politica in territori in cui non era presente o per altri scopi meno nobili.
Vale la pena di notare che la norma citata, tuttora in vigore, interessa direttamente solo i comuni delle regioni a statuto ordinario. Non a caso, le regioni a statuto speciale e le province autonome, infatti, non sono di solito interessate dal fenomeno di liste esterne: di solito, infatti, le disposizioni in vigore richiedono un numero minimo di sottoscrizioni autenticate anche nei centri più piccoli. Per i comuni con meno di mille abitanti, infatti, servono almeno 5 firme in Valle d'Aosta (che peraltro voterà in autunno; fino al 2019, invece non servivano firme in quei luoghi, mentre la soglia fino al 2015 era fissata a 500) e almeno 20 per i comuni in provincia di Trento o di Bolzano (a meno che la lista non sia espressione di un partito che con lo stesso contrassegno ha ottenuto un seggio alle ultime elezioni della provincia autonoma o della Camera). Fanno - o meglio, farebbero - eccezione il Friuli - Venezia Giulia, la Sicilia e la Sardegna, perché anche in quelle regioni non è prevista la sottoscrizione delle liste nei comuni con meno di mille abitanti. Nel turno elettorale già svoltosi in aprile in Friuli - Venezia Giulia, però, non si è votato in nessun comune "sotto i mille" e lo stesso accadrà con riguardo alle elezioni siciliane del 25-26 maggio prossimi, quindi in questa tornata elettorale la questione non si pone; quanto alla Sardegna, dei sei comuni che voteranno l'8 e il 9 giugno prossimi (tra i quali Nuoro), ha meno di mille abitanti soltanto Goni, ma il termine per il deposito delle candidature scadrà il prossimo 10 maggio, dunque è presto per fare qualunque valutazione (anche se occorre dire che in passato non si sono registrati particolari episodi di liste extra muros). 
L'altro ingrediente del cocktail normativo tossico va ricercato nell'art. 81, comma 3 della legge n. 121/1981 (Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza: si tratta della legge che, tra l'altro, smilitarizzò la polizia e aprì il corpo alle donne). In base a quella disposizione, "Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in abito civile". In effetti, il testo del disegno di legge inizialmente presentato dal primo governo Cossiga (a prima firma del ministro dell'interno Virginio Rognoni) si limitava a prevedere che "gli appartenenti alla Polizia di Stato candidati ad elezioni politiche o amministrative" fossero "posti in aspettativa per la durata della campagna elettorale", non potendo prestare servizio nella circoscrizione di candidatura per cinque anni (dalla data del voto o della cessazione del mandato). Durante la discussione in commissione Interni della Camera, però, il 5 marzo 1980 fu approvato un emendamento del governo con cui fu ridotto a tre anni il periodo di "embargo" e con cui si estese la disposizione a tutte le forze di Polizia e si previde l'aspettativa "speciale con assegni". In aula si discusse ampiamente sulle "norme di comportamento politico e sindacale" previste dal testo (in particolare sul divieto di iscrizione a partiti politici), ma non si registrarono sostanziali dibattiti sul tema che qui interessa, al punto che il testo è rimasto intatto finora. La disposizione era stata pensata per contemperare il diritto degli agenti di polizia a candidarsi con la particolarità della loro funzione, ma qualcosa con il tempo dev'essere andato storto. 

I tentativi (falliti) di porre rimedio

Per capirlo, basta leggere la relazione di una proposta di legge presentata il 23 maggio 2014 dal deputato di Sel Gianni Melilla: partendo dalle carenze d'organico nella polizia penitenziaria (soprattutto dopo la revisione di spesa "imposta" dal governo Monti), si notava che "Nelle elezioni del 25 maggio [2014], si sono candidati in Abruzzo ben 124 agenti su circa 1.460 agenti della polizia penitenziaria effettivi, con un aggravio dei costi per lo Stato. La questione è preoccupante e occorre porvi rimedio. La crisi ha prodotto come risultato un'acutizzazione dei problemi che da tempo vengono affrontati dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia. Nel mese di maggio, oltre a doversi occupare delle emergenze parallele, cioè del sovraffollamento e delle carenze di organico nelle carceri, l'amministrazione penitenziaria ha dovuto fare i conti con un terzo problema: colmare i vuoti lasciati dagli agenti candidati alle elezioni, in aspettativa speciale con assegni. Un paradosso tutto italiano: 'stringere la cinghia da un lato e sbottonarsi dall'altro'. A farne le spese sono i colleghi degli agenti candidati, ai quali si è chiesto un ulteriore sforzo che si è aggiunto agli altri sacrifici già fatti per la cronica insufficienza di personale registrata nella maggior parte delle strutture detentive italiane. Gli agenti, dalla data di accettazione delle candidature dei colleghi e fino al giorno del voto, hanno dovuto affrontare turni massacranti per sostituire gli agenti candidati e in aspettativa obbligatoria [...]". La soluzione proposta da Melilla era intervenire sulla legge n. 121/1981, "adeguandola e avvicinandola alle attuali contingenze affinché risponda pienamente al periodo di emergenza in corso": l'aspettativa speciale con assegni sarebbe diventata "aspettativa non retribuita", fino al giorno delle elezioni. La proposta, però, assegnata alla commissione Interni, non è mai stata discussa in Parlamento.
Nella legislatura successivcasi ma - in cui Melilla non fu rieletto - nel 2020 si verificarono casi molto gravi, in particolare quello di Carbone in Basilicata (in cui si presentarono solo due liste esterne e il sindaco eletto si dimise immediatamente, con conseguente commissariamento) e quello di Posina (con il consiglio che non si è mai insediato in pieno e i candidati in una lista... a loro insaputa). In quel periodo Pierantonio Zanettin, allora deputato di Forza Italia, presentò una proposta di legge simile a quella di Melilla (il nuovo testo sostituiva l'aspettativa non retribuita a quella speciale con assegni): il testo della relazione lamentava l'emersione di "una vera e propria strumentalizzazione del disposto di cui all’articolo 81 della [...] legge n. 121/1981", con una norma che si è "prestata ad opportunismi e comportamenti scorretti, nonostante la disposizione in realtà miri a tutelare coloro che, legittimamente, vogliono accedere alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza". Per Zanettin era evidente che "troppe persone hanno approfittato della norma e delle casse dello Stato, solo per potersi vedere garantito un mese di retribuzione senza prestare servizio. È quindi necessario modificare la disposizione di cui all’articolo 81 della legge n. 121/1981, mantenendone saldi i presupposti e i princìpi di fondo e garantendo comunque il diritto degli agenti di poter svolgere liberamente la propria campagna elettorale, eliminando però il diritto alla retribuzione durante l'aspettativa". Zanettin interrogò la ministra dell'interno Luciana Lamorgese e il sottosegretario Achille Variati rispose che era disposto l'avvio di un procedimento disciplinare per gli eletti dimissionari di Carbone, per un comportamento "ritenuto deontologicamente non corretto, per avere gli stessi disatteso le aspettative riposte in loro innanzitutto dagli elettori, in virtù della nota appartenenza alla Polizia di Stato". A dispetto di tutto questo, l'esame del disegno di legge non iniziò mai; Zanettin lo ha ripresentato in questa legislatura (è stato rieletto al Senato), ma formalmente il testo non risulta ancora assegnato. 
Il tentativo di un esponente della maggioranza di governo di neutralizzare uno dei due ingredienti del cocktail normativo tossico, dunque, non è finora andato a buon fine, ed è noto che le proposte di legge iniziano a camminare, continuano a farlo e arrivano in porto soprattutto se c'è l'interesse delle forze di maggioranza. Quanto all'altro ingrediente, chi legge questo sito sa bene che nella scorsa legislatura era arrivato a buon punto un testo, frutto soprattutto dell'impegno del senatore leghista Luigi Augussori, che, oltre a prevedere l'abbassamento stabile del quorum di validità delle elezioni nei comuni fino a 15mila abitanti qualora fosse stata ammessa una sola lista, avrebbe reintrodotto un numero minimo di sottoscrizioni anche nei comuni più piccoli (tra 15 e 30 firme nei comuni tra 751 e 1000 abitanti; tra 10 e 20 firme nei comuni tra 501 e 750 abitanti; tra 5 e 10 sottoscrizioni nei comuni fino a 500 abitanti). In Senato, anche grazie all'impegno del dem Dario Parrini, si arrivò all'approvazione, ma alla Camera tutto si fermò. In questa legislatura l'iter è ripartito, il Senato ha discusso e approvato il testo, ma alla Camera il percorso si è fermato dopo l'approvazione in commissione, un anno fa. Lo scorso 16 aprile, dichiarando il suo voto favorevole alla conversione del "decreto elezioni 2025", la senatrice leghista Daisy Pirovano (che si è fatta carico di portare avanti il disegno di legge ex Augussori), ha lamentato come il testo volto a stabilizzare la norma per i comuni monolista e a reintrodurre le firme "sotto i mille" "per evitare liste farlocche" fosse "fermo da due anni alla Camera dei deputati", mancando "solo un voto che richiederebbe mezza giornata di tempo": per lei si trattava di "una di quelle cose, di cui parlano tanto anche i colleghi dell'opposizione [...] che dispiacciono a un parlamentare", così ha voluto rivolgere "una preghiera al Governo e ai colleghi della Camera affinché si possa risolvere questa incresciosa situazione". A fronte di dichiarazioni di impegno dei partiti di maggioranza a ottenere presto il superamento del sistema elettorale nei comuni superiori con la vittoria al primo turno col 40%, non risultano per ora segni di altrettanto interesse per le elezioni "sotto i mille".
Anche quest'anno, dunque, chi ha voluto presentare liste nei microcomuni ha potuto farlo senza la fatica di raccogliere firme sul territorio, arrivando semplicemente al momento del deposito dei documenti nelle rispettive segreterie comunali. Allo stesso modo, gli agenti delle forze di polizia che desideravano candidarsi hanno potuto farlo, godendo di 30 giorni di aspettativa retribuita, diversamente da qualunque altro pubblico dipendente. Già in passato non poche liste sembrano essere state presentate - senza l'incomodo della raccolta firme - essenzialmente con quello scopo, unendo più persone accomunate da quella caratteristica; erano però vari i comuni su cui quelle liste si "spalmavano" (con simboli simili, poco appariscenti), così in ogni località ne veniva presentata una, magari due o tre, anche se capitava che si salisse si numero dando nell'occhio. Questa volta invece i comuni "sotto i mille" al voto erano pochissimi: chi avesse voluto candidarsi comunque, magari ripetendo l'esperienza degli anni precedenti (o aggiungendosi a chi già l'aveva fatta), dove avrebbe potuto concorrere? Ovviamente solo in quei 12 comuni, dunque era inevitabile concentrarsi lì e presentare molte più liste, al punto da rendere impossibile passare inosservati (ancor più di quanto si pensava sarebbe accaduto dopo il caso di Carbone, ma le cose sono andate diversamente...). Così sembra di poter spiegare la presenza di molte - non tutte, a onor del vero - delle liste in corsa in 9 microcomuni su 12. Gli strumenti essenziali per il viaggio, dunque, ora ci sono tutti e siamo pronti a partire.

(1 - continua)

venerdì 2 maggio 2025

Bolzano, simboli e curiosità sulla scheda


Domenica 4 maggio, in occasione del turno elettorale amministrativo in Trentino - Alto Adige, si rinnoverà anche l'amministrazione comunale di Bolzano: la sua guida cambierà di certo, dopo il doppio mandato svolto da Renzo Caramaschi (sostenuto da una coalizione di centrosinistra e dalla Svp). Rispetto al capoluogo dell'altra provincia autonoma, la competizione si presenta un po' meno affollata: gli aspiranti sindaci sono sempre 6, ma le liste presentate e ammesse sono soltanto 13, decisamente meno rispetto alle 18 viste nel 2020 (a sostegno di 10 candidati alla carica di Bürgermeister, per rispettare la natura rigorosamente bilingue dei documenti e del manifesto ufficiale). 
 
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Stephan Konder

1) Südtiroler Volkspartei

Il sorteggio ha collocato in prima posizione la candidatura di Stephan Konder, vicesindaco uscente di Bolzano. La sua corsa è autonoma rispetto alla coalizione di centrosinistra: il suo partito, la Südtiroler Volkspartei (che candida come capolista l'assessora uscente Johanna Ramoser), lo scorso novembre ha scelto Konder come aspirante primo cittadino, confermando la corsa autonoma com'era avvenuto nelle elezioni precedenti (anche se la Svp dal 2005 ha poi sempre partecipato al governo cittadino). Il simbolo, come sempre, è rappresentato dalla stella alpina bianca su fondo nero, con la sigla del partito nella parte bassa (connotata dalla V con lo spessore rosso).
 

Claudio Corrarati

2) Fratelli d'Italia

Secondo candidato estratto è Claudio Corrarati, presidente regionale della Cna, più volte evocato come possibile futuro sindaco e presentato in questa tornata dal centrodestra. Corrarati potrà contare sull'appoggio di quattro liste: la prima - in ordine di sorteggio - è quella di Fratelli d'Italia. Il contrassegno impiegato somiglia molto a quello presentato per la contemporanea competizione elettorale di Trento, ma in questo caso il simbolo ufficiale di Fdi è un po' più piccolo e sotto al nome della presidente del Consiglio Giorgia Meloni figura anche il cognome dell'aspirante sindaco.
 

3) Lega

Come seconda lista della coalizione di centrodestra è stata sorteggiata quella della Lega, vale a dire la seconda formazione più votata nel 2020 (il 13,2% si avvicinò molto al 14,8% della Svp). In quell'occasione il partito presentò lo stesso emblema schierato alle elezioni politiche del 2018 e a quelle europee del 2019; in questo turno elettorale sotto alla statua di Alberto da Giussano non c'è il riferimento a Matteo Salvini, sostituito in compenso da quello al candidato sindaco (con al di sotto la qualifica bilingue "sindaco-bürgermeister). In lista c'è anche Maurizio Puglisi Ghizzi, candidato sindaco nel 2016 e nel 2020 per CasaPound Italia.
 

4) La civica per Bolzano - Corrarati sindaco

Oltre alle liste presentate direttamente dai partiti di centrodestra, la coalizione in appoggio a Corrarati comprende anche una formazione civica, denominata appunto La civica per Bolzano: la vicinanza all'aspirante sindaco emerge anche dal rilievo al suo cognome, riportato in rosso all'interno di un simbolo in prevalenza azzurro sfumato e blu (sotto al cognome è ripetuta la carica auspicata, in italiano e in tedesco). Il contrasegno - decisamente pieno - ha una struttura a fasce leggermete inclinata (che ricorda leggermente la struttura dei simboli di Cateno De Luca, senza ovviamente avere alcuna attinenza); in alto è riportato il nome della lista (con il "per" reso da una croce manoscritta rossa) accanto all'espressione "Oltre - Weiter" (che era il nome della lista civica della coalizione di centrodestra cinque anni fa, che sosteneva il candidato Roberto Zanin, ora capolista), mentre in basso figura l'espresione bilingue "Fare - Machen", anch'essa in carattere decisamente piccolo.
 

5) Forza Italia

La coalizione in appoggio a Corrarati si completa con la lista di Forza Italia, che cinque anni fa si era dovuta accontentare dell'1,5%. Il contrassegno, uguale a quello depositato in vista delle elezioni amministrative a Trento, è identico al simbolo elaborato in vista delle politiche del 2022: la bandierina tricolore di Cesare Priori è stretta tra il riferimento al Partito popolare europeo (in alto, aggiunto proprio nel 2022) e l'espressione "Berlusconi presidente", presente anche cinque anni fa, ma allora sotto era stato inserito anche il cognome del candidato sindaco (la lista di Fi, in effetti, è la sola della coalizione a non riportare riferimenti a Corrarati).
 

Juri Andriollo

6) Partito democratico

Terzo candidato indicato dal sorteggio è Juri Andriollo, assessore uscente alle politiche sociali, al tempo libero e allo sport: è caduta su di lui la scelta del centrosinistra, che si articola su quattro liste (stesso numero, dunque, di quelle del principale sfidante). La prima a essere stata estratta è quella del Partito democratico, che nel 2020 era stato superato, oltre che dalla Svp, anche dalla Lega. Se allora si era impiegato il simbolo ufficiale con l'aggiunta di un segmento rosso con il riferimento bilingue al comune, questa volta si è ripreso il simbolo del 2016 - usato anche alle provinciali del 2023 - che al logo del Pd ha accompagnato il nome del partito, riportato in alto in tedesco e in basso in italiano. Alla lista concorre - senza riferimenti visibili - anche il Psi.
 

7) Verdi - Grüne - Verc

Si conferma, come nel 2020, la presenza nel centrosinistra della lista dei Verdi - Grüne - Vërc. Com'è noto, i Verdi in Alto Adige manifestano da sempre una propria particolarità nominale e grafica: il nome è proposto in italiano, tedesco e ladino, mentre il simbolo è dominato dalla presenza di una delle colombe della pace di Picasso, collocata su fondo verde chiaro. Come cinque anni fa non manca il riferimento ai Verdi europei, con il girasole e il nome (riportato in inglese - lingua ufficiale del partito politico europeo - e non in italiano o in tedesco). Pur non contenendo riferimenti testuali o grafici, nella lista è presente anche la Sinistra-Linke, ripetendo la formula di Avs.
 

8) Lista civica con Juri Andriollo sindaco

Anche all'interno della coalizione a sostegno di Andriollo è presente una componente civica, che in questo caso si articola su due liste. Una è in sostanziale continuità con le elezioni del 2020: la Lista civica con Juri Andriollo sindaco / Bürgerliste mit Juri Andriollo Bürgermeister, infatti, ha una grafica molto simile a quella - dallo stesso nome bilingue - che nei due appuntamenti precedenti (2016 e 2020) ha sostenuto la candidatura di Renzo Caramaschi. Rispetto al passato, le parole "con" e "sindaco" sono state scritte in un carattere simil-manoscritto, la fascetta rossa in cui è inserito il nome è leggermente staccata dagli altri elementi e il segmento bianco inferiore curvilineo - che non contiene più un cuore - dà l'impressione che il nome sia contenuto in un "ponte grafico".
 

9) Bolzano/Bozen Restart

Pure la quarta e ultima formazione presentata a sostegno di Andriollo ha natura civica (pure qui esplicitata e declinata in italiano e in tedesco). Bolzano/Bozen Restart si presenta come formazione di "progressisti nati dal basso", guidati da Renato Sette (fondatore del progetto civico in atto da tre anni) e con molti esperti di urbanistica tra i candidati. Il simbolo contiene, su fondo arancione, una striscia in cui, davanti alle montagne dal profilo frastagliato - e sempre più spesso, mentre il nome della lista si assottiglia progressivamente - che si stagliano su un "cielo" azzurro-verdino, compaiono varie sagome di persone.
 

Matthias Cologna

10) Team K

Quarto aspirante sindaco, in ordine di sorteggio, è Matthias Cologna, consigliere uscente della formazione politica Team K, che in un primo tempo si diceva potesse fare parte del "campo largo" del centrosinistra, ma poi la trattativa è naufragata e il gruppo legato a Paul Köllensperger ha scelto di presentare in autonomia la sua lista: il simbolo è quello già noto ormai da anni, con il fumetto contenente la sagoma della provincia di Bolzano collocato su fondo giallo, sopra al nome del movimento politico (con la "K" inserita in un pallino rosso); la seconda persona candidata in lista, Thomas Brancaglion, era il candidato sindaco nel 2020.
 

Simonetta Lucchi

11) MoVimento 5 Stelle

La quinta candidatura sorteggiata è quella di Simonetta Lucchi, unica donna a proporsi come sindaca in questa competizione elettorale. Lucchi, insegnante e saggista, si presenta sostenuta da due liste, la prima delle quali è quella del MoVimento 5 Stelle (in seconda posizione è candidata Maria Teresa Fortini, aspirante sindaca per il M5S cinque anni fa). Anche qui, come a Trento, il soggetto politico schiera il suo secondo simbolo ufficiale, con il riferimento al 2050 come anno della neutralità climatica collocato sotto agli elementi grafici che da sempre distinguono il M5S.
 

12) Pace e diritti - Partito della Rifondazione comunista

La seconda lista che appoggia Lucchi, Pace e diritti, richiama le battaglie appunto per la pace e per i diritti grazie ai colori della bandiera arcobaleno - quella a sei tinte, quindi quella delle battaglie legate al mondo LGBTQI+ - e della scritta che sta al di sotto. Al centro della bandiera è evidente il simbolo del Partito della Rifondazione comunista, che dunque appare come il soggetto politico promotore di questa formazione, comunque aperta a ulteriori istanze civico-politiche.
 

Angelo Gennaccaro

13) La civica - Io sto con Bolzano

Chiude l'elenco delle candidature in questo turno elettorale quella di Angelo Gennaccaro, già propostosi nelle ultime due elezioni comunali come candidato sindaco (e nel 2020 era di nuovo stato sorteggiato come ultimo). La lista, come in passato, porta il nome di Io sto con Bolzano, ma questa volta rinuncia all'immagine del pulsante di accensione/spegnimento: la grafica, infatti, è mutuata da quella della lista La Civica, cui Io sto con Bolzano aveva concorso alle elezioni provinciali del 2023. In alto, dunque, sopra al nome principale è arrivato il "ventaglio" verde, arancione e blu della Civica, mentre il nome della vecchia lista è scivolato - assai rimpicciolito - nel segmento inferiore arancione, sotto al nome del candidato sindaco.

giovedì 1 maggio 2025

Trento, simboli e curiosità sulla scheda


Com'è noto, il turno ordinario/annuale delle elezioni comunali previsto per il 2025 è stato fissato per il 25 e il 26 maggio (in due giorni grazie al "decreto elezioni 2025") e riguarderà solo amministrazioni da rinnovare "per motivi diversi dalla scadenza del mandato", cioè dimissioni, impedimento permanente, rimozione, decadenza o decesso del sindaco: questo perché - lo si ricorderà - le elezioni amministrative del 2020 non si tennero in primavera, nel pieno dell'emergenza Covid-19, bensì in autunno. A questo proposito, la circolare n. 83/2024 del Ministero dell'interno - Dipartimento per gli affari interni e territoriali (Direzione centrale per i servizi elettorali) ha rilevato che le norme dei "decreti elezioni" del 2020 e del 2021, pur fissando date diverse per il voto in quegli anni, "nulla hanno disposto in merito ai termini del rinnovo elettorale degli enti interessati dal differimento del voto", per cui "appare necessario richiamare per i comuni delle Regioni a statuto ordinario la disciplina statale sulla durata dei mandati elettivi e sui tempi di rinnovazione degli organi": ciò comporta che, secondo il Viminale, si debba applicare la disciplina ordinaria prevista dalla legge n. 182/1991 (all'art. 1), quindi se il mandato di cinque anni delle amministrazioni si conclude nella seconda metà dell'anno, il rinnovo è previsto tra il 15 aprile e il 15 giugno dell'anno successivo. Ciò comporta, dunque, che i comuni che hanno votato nel 2020 rinnoveranno le amministrazioni nel 2026, mentre quelli interessati dal voto nel 2021 torneranno alle urne nel 2027, lo stesso anno in cui scadrà la legislatura: il 2027, dunque, si prospetta un "anno elettorale" per eccellenza, visto che ospiterà in primavera il voto per alcuni tra i maggiori comuni italiani - cioè Torino, Milano, Bologna, Roma e Napoli - e in autunno quello per le Camere (ammesso che non si creino le condizioni - alimentate magari da qualche tentazione di "cappotto" - per uno scioglimento parlamentare anticipato all'inizio dell'anno, che invertirebbe il calendario elettorale e potrebbe produrre un "effetto trascinamento" delle elezioni politiche su quelle amministrative).   
Le date del turno elettorale ordinario, peraltro, non valgono in automatico per le regioni a statuto speciale. Se le amministrative in Friuli - Venezia Giulia si sono già svolte il 13 e il 14 aprile (come si è visto parlando di Pordenone e Monfalcone), in Trentino - Alto Adige si voterà - per disposizione locale in deroga alla durata quinquennale - nella sola giornata di domenica 4 maggio; la tornata elettorale riguarderà tutti e 282 i comuni trentini e altoatesini, inclusi i due capoluoghi delle province autonome, che dunque meritano di essere passati in rassegna. Si parte da Trento, che vedrà schierati sulla scheda 6 aspiranti sindaci (incluso l'uscente, Franco Ianeselli, sostenuti da 15 liste: una formazione ridotta, rispetto agli 8 candidati (e ai 19 simboli) visti nel 2020.
 
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Ilaria Goio

1) Forza Italia

Il sorteggio ha collocato in prima posizione su manifesti e schede Ilaria Goio, imprenditrice (nell'ambito della ristorazione) con studi dottorali e proposta dal centrodestra: in questa competizione potrà contare sul sostegno di tre liste. Come prima è stata estratta quella di Forza Italia, che in quest'occasione schiera semplicemente il suo simbolo ufficiale - con la bandierina tricolore di Cesare Priori sopra all'espressione (resistente) "Berlusconi presidente", con il cognome del fondatore in evidenza - integrato nella parte superiore col riferimento al Partito popolare europeo, come avviene ormai dalle elezioni politiche del 2022.
 

2) Lega

Al secondo posto sulla scheda si incontra il simbolo della Lega, partito che ha fatto una scelta grafica analoga a quella forzista: il contrassegno impiegato in questa competizione, infatti, è lo stesso che viene impiegato ormai dal 2018 dalla formazione guidata da Matteo Salvini. Ovviamente il nome e la figura di Alberto da Giussano al centro sono stati conservati, ma nel 2020 ai lati della statua erano stati inseriti un riferimento all'autonomia e una stilizzazione della bandiera trentina, mentre sotto al cognome di Matteo Salvini la parola "Trentino" aveva sostituto "Premier". Questa volta, invece, si è optato per una continuità visuale.
 

3) Fratelli d'Italia

La scelta di Forza Italia e della Lega, in fondo, non sorprende granché, visto che anche Fratelli d'Italia - terza e ultima lista della coalizione - ha scelto di esibire il fregio elettorale in uso di norma fino a prima delle elezioni europee del 2024, dunque quello che include il simbolo ufficiale del partito all'interno di un cerchio blu e bianco che nella parte superiore ospita il nome della leader e attuale presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (con il cognome in evidenza). Nessuno dei contrassegni della coalizione, dunque, contiene riferimenti al luogo o alla candidata (che era stata proposta innanzitutto proprio da Fdi).
 

Giulia Bortolotti

4) Partito della Rifondazione comunista

La seconda candidatura indicata dal sorteggio è quella di Giulia Bortolotti, presidente del consiglio del sistema educativo provinciale e appoggiata come aspirante sindaca da tre liste. Risulta estratta per prima quella del Partito della Rifondazione comunista, che conferma la propria presenza alle elezioni comunali trentine, ancora una volta senza partecipare alla coalizione del centrosinistra: questa volta il Prc schiera semplicemente il suo simbolo ufficiale (ultimamente non troppo presente nelle competizioni di rilievo), senza più il riferimento all'Altra Trento (lista che aveva corso nel 2015) presente nel fregio impiegato nel 2020.
 

5) MoVimento 5 Stelle

Bortolotti potrà contare anche sul sostegno del MoVimento 5 Stelle, che nel 2020 aveva corso in autonomia (candidando Carmen Martini), mentre questa volta - dopo le due partecipazioni precedenti - ha scelto di appoggiare una candidatura in coalizione. Il simbolo è simile a quello degli anni precedenti, ma al posto degli indirizzi internet che si sono avvicendati (Beppegrillo.it e Ilblogdellestelle.it) c'è - come previsto dal secondo emblema ufficiale fissato dallo statuto - il riferimento al 2050 come anno della neutralità climatica, inserito all'interno di un segmento circolare rosso nella parte inferiore del tondo.
 

6) Onda

Terza e ultima lista della coalizione è Onda, già vista alle elezioni provinciali del 2023 (di fatto creando una situazione simile a quella di allora, che in appoggio ad Andrea Degasperi - già candidato sindaco di Onda civica Trentino nel 2020 - aveva visto anche Unione popolare, di cui era parte il Prc): il simbolo è lo stesso di due anni fa, con un'onda - che crea una sorta di mezzaluna - in primo piano davanti a una valle e alle montagne rossastre (così com'è rossa la lettera iniziale della parola "Onda", per il resto tinta di nero); nella parte inferiore di una circonferenza incompleta trovano posto le parole "lavoro", "ambiente" e "società".
 

Franco Ianeselli

7) Sì Trento

Al terzo posto, tra le candidature, c'è Franco Ianeselli, sindaco uscente di Trento, colui che può contare sulla coalizione più ampia, composta da ben sei formazioni. La prima è Sì Trento, che si qualifica - sullo stesso contrassegno - come "lista civica autonoma, europea, riformista": la grafica non contiene alcun simbolo di partito, ma l'incrocio perpendicolare di due fasce tinto di giallo, magenta e blu suggerisce tanto la natura plurale di una formazione che tiene insieme più anime politiche dell'area libdem. Se infatti il nome suggerisce "lo spirito pragmatico e concreto di questa nuova proposta politica fatta di tanti Sì, il contraltare ai comitati del No", concorrono alla lista Azione (blu), Italia viva (magenta), +Europa (giallo) e Casa Autonomia, allargando dunque il campo dei potenziali sostenitori di Ianeselli.
 

8) Alleanza Verdi e Sinistra

Se nel 2020 la lista di Europa Verde aveva ospitato tra l'altro la pulce di Sinistra italiana (insieme a quelle di Volt e di èViva), questa volta uno schieramento affine continua a sostenere Ianeselli e si riconosce nel contrassegno di Alleanza Verdi e Sinistra: il contrassegno - il secondo della coalizione, in ordine di sorteggio - è esattamente lo stesso che è stato presentato a partire dalle elezioni politiche del 2022 e che è finito sulle schede trentine anche alle provinciali del 2023. Nessuna variazione o aggiunta, dunque, come invece si è visto in altre occasioni territoriali.

9) Intesa per Ianeselli sindaco

Terza formazione sorteggiata, tra quelle che appoggiano la riconferma del sindaco uscente, è Intesa per Ianeselli sindaco. Guidata all'ex candidata sindaca Silvia Zanetti (sostenuta nel 2020 dalla lista Si può fare!), la lista si qualifica come "civica, moderata e liberale". I colori del contrassegno, in effetti, non sono tutti legati a quell'area: se si riconduce al mondo libdem il giallo di "Intesa" (la parola più evidente nel contrassegno), non è così per il rosa scuro e per il fucsia che tinge il semicerchio superiore, parte del testo e la circonferenza che racchiude gli altri elementi.     
 

10) Insieme per Trento - Ianeselli sindaco

Rappresenta in qualche modo un elemento di continuità con l'esperienza del 2020 la lista Insieme per Trento, forse la formazione civica più vicina al sindaco uscente. Una lista con lo stesso nome, infatti, era presente cinque anni fa, con gli stessi colori (carta da zucchero e giallo scuro); questa volta, però, il contrassegno graficamente e cromaticamente sembra ribaltato, con il giallo che ottiene molto più peso (grazie soprattutto al contorno molto più spesso e al cognome del candidato sindaco in grande evidenza), mentre il blu ora tinge il nome della lista e il fondo della parte superiore del cerchio.
 

11) Campobase

Quinta formazione della coalizione di centrosinistra è Campobase, formazione civica locale nata nel 2022 dall'impegno di vari amministratori locali (tra cui il candidato alla presidenza della provincia nel 2023 Francesco Valduga). Il simbolo è quello già visto in passato: sul cerchio a fondo verde sfumato campeggia al centro una grande "T" bianca - l'iniziale di Trento, volendo - tagliata in basso; nel segmento orizzontale è riportato il nome della forza politica (composto con lettere maiuscole e miniscole), questa volta senza alcun riferimento al candidato sostenuto nella tornata elettorale.
 

12) Partito democratico - Partito socialista italiano

Un altro elemento di continuità grafica e politica rispetto alle elezioni comunali trentine del 2020 è rappresentato dall'ultima lista della coalizione, presentata dal Partito democratico e dal Partito socialista italiano. Il contrassegno è infatti identico a quello visto cinque anni fa: sotto al logo dem elaborato da Nicola Storto è stato inserito il riferimento al Trentino, mentre un segmento circolare rosso collocato nella parte inferiore del tondo contiene la miniatura del simbolo del Psi (anche se di fatto il contorno rosso del fregio di fatto non si legge per l'identità del colore).
 

Simonetta Gabrielli

13) Democrazia sovrana popolare

Come quarta candidata per l'amministrazione trentina è stata sorteggiata Simonetta Gabrielli, a lungo impegnata alla Camera di commercio locale e tra le figure fondatrici di Democrazia sovrana popolare. Non a caso, è proprio il partito guidato da Marco Rizzo (candidato alla presidenza della provincia di Trento nel 2023 per Dsp) e Francesco Toscano a sostenere Gabrielli, avendo ritenuto impossibile l'apparentamento con altre forze politiche: il contrassegno destinato alle schede coincide con il simbolo ufficiale, con le tracce verdi e rosse di pastello (un tempo "progressiste", ora riviste) sopra al nome, nero e rosso (come la stella rossa e la parola centrale manoscritta). 
 

Andrea Demarchi

14) Prima Trento!

Quinto candidato alla guida del comune di Trento è Andrea Demarchi, impiegato, pompiere volontario e atleta, il più giovane tra gli aspiranti al ruolo di sindaco. Lo sostiene una sola lista, denominata Prima Trento!, cui concorrono tre forze, che a livello provinciale hanno sostenuto Fugatti: il Partito autonomista trentino tirolese (principale sponsor di Demarchi), La Civica e Noi Trento. Le miniature dei tre simboli - quello del Patt circondato, come alle provinciali, dalle parole "+ autonomisti + popolari" - sormontano il nome della lista, con il riferimento al candidato collocato in un piccolo segmento circolare rosso; il cerchio è racchiuso da una corona blu e gialla.
 

Claudio Geat

15) GenerAzione Trento

Chiude lo schieramento delle candidature Claudio Geat, già presidente della Circoscrizione Centro Storico Piedicastello in quota Pd, ma fuoriuscito dal partito. Lo sostiene una sola formazione civica, GenerAzione Trento, con un evidente gioco di parole. Il simbolo lo ha spiegato lui stesso, presentandolo già a novembre dello scorso anno: "Il rosso è simbolo di passione e dedizione verso la nostra gente e il nostro territorio, includendo chiunque viva qui con rispetto delle nostre regole, della nostra città e del nostro ambiente. Il verde è a testimonianza del nostro impegno per l’equilibrio con la natura e per uno sviluppo sostenibile per tutti. Le montagne sono emblema della solidità e del radicamento della nostra comunità al territorio trentino. L’aquila è simbolo di libertà e della nostra ambizione verso un futuro migliore per Trento" 

mercoledì 23 aprile 2025

Addio a Carlo Senaldi, impegnato in una lunga rinascita della Dc

In questi giorni in cui l'attenzione mediatica è catturata pressoché per intero dalla morte di papa Francesco, è giusto che su questo sito non passi sotto silenzio la scomparsa di un'altra persona, dal percorso politico rilevante e con profili d'interesse specifico per i drogatidipolitica. Si parla di Carlo Senaldi, classe 1941, morto il 19 aprile a Busto Arsizio, a una decina di chilometri dalla sua Gallarate, in cui aveva il suo studio da commercialista.
Il primo tempo della vita politica di Senaldi è stato legato indissolubilmente alla Democrazia cristiana, per la quale sedette in consiglio comunale a Gallarate (diventando anche assessore della giunta pentapartita guidata dal socialista Andrea Buffoni), alla Camera per due legislature (1983-1992) e in quota alla quale fu nominato sottosegretario durante la sua seconda legislatura, in tutti e quattro i governi in cui si articolò (occupandosi di trasporti nel governo guidato da Giovanni Goria, per poi approdare alle finanze nell'esecutivo presieduto da Ciriaco De Mita, venendo confermato da Giulio Andreotti nei suoi due ultimi governi).
Nel 1980, sempre sotto le insegne dello scudo crociato, Senaldi era stato candidato alle elezioni regionali in provincia di Varese. Era riuscito a raccogliere 9190 preferenze: certo non poche, ma in quell'occasione non sufficienti per risultare tra i tre eletti democristiani della circoscrizione, considerando che il terzo ne aveva ottenute oltre tremila in più e il distacco era rilevante. Sarebbe potuta andare nello stesso modo tre anni dopo, alle elezioni politiche del 1983, ma così in effetti non fu. Lo ricorda con buona precisione in un commento sul quotidiano online da lui diretto, Malpensa24, Vincenzo Coronetti:
Senaldi militava tra i dorotei, componente tra le più attive e, se si vuole, tra le più spietate nei giochi della politica. Vi era approdato quasi per caso, quando, poco prima delle elezioni politiche del 1983, alla Dc varesina venne a mancare uno dei quattro candidati da lanciare alle urne: Michele Galli, un altro gallaratese, si tirò indietro per ragioni personali. Rimasero in gara Giuseppe Zamberletti, Paolo Caccia, Costante Portatadino. E Carlo Senaldi, propostosi all'assemblea nella sede varesina dopo che altri rinunciarono a candidarsi, fu il quarto uomo. Venne eletto al primo colpo, contro ogni previsione.  
In effetti, nella circoscrizione che per la Camera univa i territori di Como, Sondrio e Varese, la Dc ottenne 8 dei 20 seggi disponibili (con il suo 36,76% di voti), mentre il Pci si fermò a 5 (come primo eletto passò Aldo Tortorella) e il Psi a 2 (primo eletto Francesco Forte). Zamberletti, ministro uscente del coordinamento della protezione civile, fece il pieno con 57916 voti, Caccia e Portatandino ne raccolsero oltre 33mila a testa; il conteggio delle preferenze in seguito collocò Paolo Enrico Moro, Francesco Casati e Stefano Rossattini, ma Senaldi con 24858 consensi personali riuscì a passare (e ci fu spazio per un ottavo eletto). Fu di certo un risultato rilevante, confermato da quello del 1987: di deputati democristiani alla Camera, in quella stessa circoscrizione, ne arrivarono solo 7 (anche i comunisti ne persero uno, mentre i socialisti divennero 4 dopo la legislatura dominata dalla figura di Bettino Craxi al governo) e le quasi 79mila preferenze di Zamberletti restarono inarrivabili da quelle parti, ma Senaldi vide aumentare le proprie a 36485 e confermò il seggio da penultimo degli eletti in quel territorio.
Nel 1992 Senaldi fu nuovamente candidato nello stesso collegio plurinominale di Como-Sondrio-Varese, ma era decisamente cambiato il tempo: dei 19 seggi della Camera che si assegnavano in quella circoscrizione, per la Dc ne restarono disponibili solo 5, anche perché 6 li conquistò la Lega Lombarda - Lega Nord, divenendo il primo partito. In casa democristiana Zamberletti non era più candidato, del trio di testa era rimasto solo Caccia (comunque con poco meno di 27mila voti, un po' di più della metà di quelli ottenuti cinque anni prima); Senaldi si collocò di nuovo al settimo posto nella classifica delle preferenze, ma i suoi 14351 consensi personali - qui più che dimezzati - non furono sufficienti a confermare il seggio. Questo sfumò per poco più di 600 voti (e la delusione fu anche più profonda per Francesco Casati, fuori da Montecitorio per sole 400 preferenze avendo ottenuto un terzo dei voti raccolti cinque anni prima). La batosta dovette essere dolorosa, soprattutto a voler dare credito alle "leggende di famiglia" in base alle quali "la Democrazia cristiana lo tradì, nella notte pre-elettorale del 1992. Un pacchetto di voti sposati all’ultimo verso amici di partito più generosi, non nello spirito. Vicende prescritte, morte prima di lui come tutti i protagonisti".
Le parole sono di Pietro Senaldi, condirettore di Libero e nipote dello stesso Carlo Senaldi, da lui descritto così sulla Prealpina il 20 aprile:
Mio zio era un politico, lo si resta per tutta la vita. Anche in ospedale, quando nel caos della malattia confondeva le persone, tracciava scenari. D'altronde la sfida all’impossibile ha caratterizzato gli ultimi trent'anni della sua esistenza. [...] Dopo che tutto era crollato, Silvio Berlusconi gli offrì un seggio nel 1994, come a tanti, quando doveva formare la sua classe dirigente. Il Carlo declinò l'invito. Nulla di personale, anzi: non invidiava il talento altrui, lo rispettava. Solo voleva morire democristiano, e ce l'ha fatta. Non usò mai lo Scudo Crociato per nascondercisi dietro e farsi gli affari propri. Il poco potere che ha avuto non l'ha arricchito e l'ha usato per gli altri; talvolta forse anche per chi non meritava, ma sono certo che non se ne sia mai pentito. Lui lo Scudo Crociato lo portava fiero in battaglia e ha combattuto in maniera irrazionale, inarrendevole e pressoché solitaria per farlo avanzare, con tutti noi ad ascoltarlo affettuosamente attoniti. 
Chi scrive ora - lasciando in disparte ogni considerazione sull'agire di Pietro Senaldi in altre circostanze - trova particolarmente significative le ultime frasi di questa citazione, ritenendole adattissime al secondo tempo della vita politica di Carlo Senaldi. Un tempo lontano dalle aule che contano - e, tutto sommato, con poca aderenza a quelle di tribunale, visto che "Mani Pulite" lo sfiorò soltanto, con la vicenda Enimont che per Senaldi si chiuse con un lieve patteggiamento - ma certamente tutt'altro che inattivo. Già, perché dal 1996 da varie parti si era sentito il bisogno di mettersi in movimento per cercare di far rinascere la Democrazia cristiana, dopo il cambio di nome in Ppi nel 1994, il disastro elettorale di quell'anno (con contorno di prime fratture) e la scissione dolorosissima del 1995 tra Popolari guidati da Gerardo Bianco e Cristiani democratici uniti seguaci di Buttiglione. Tra il 1997 e il 1998 a reggere le fila di quel movimento pensò Flaminio Piccoli, che della Democrazia cristiana divenne presidente, mentre come segretario fu indicato proprio Senaldi. Fin dall'inizio, tuttavia, fu difficile - per non dire difficilissimo - presentare liste con quel nome, ma soprattutto con il simbolo dello scudo crociato, vista la lotta continua tra Ppi e Cdu e la presenza in Parlamento di quest'ultimo: lo scudo saltò alle provinciali di Roma del 1998 e in tante occasioni successive, così il gruppo preferì cambiare nome (Partito democratico cristiano) e simbolo.
Morto Piccoli l'11 aprile 2000, Senaldi ne continuò il progetto. Non lo fece però con il Pdc, la cui guida passò nelle mani del napoletano Alfredo Vito (che nel 2001 sarebbe stato eletto alla Camera, candidato dalla Casa delle Libertà in quota Biancofiore, poi iscrittosi al gruppo di Forza Italia): divenne presidente di Rinascita della Democrazia cristiana, rifondata alla fine del 1999 da Angelo La Russa in Sicilia (stesso nome dell'associazione costituita nel 1996 da Andreino Carrara e del soggetto di coordinamento delle prime realtà ri-democristiane) e che a luglio 2000 riprese il cammino come partito, guardando soprattutto al centrodestra (ma considerando anche Democrazia europea alle politiche del 2001), con Senaldi che entrò a far parte del consiglio nazionale del Cdu ("ci avviciniamo per darvi il nostro aiuto nelle singole realtà regionali e provinciali - disse alla fine del 2000 - I cattolici democratici ormai hanno soltanto questa possibilità: si rimettano insieme, facciano la parte, perché noi dobbiamo difendere interessi che non sono particolari, ma di carattere generale").
Nel 2002, tuttavia, Senaldi come presidente di Rdc divenne membro di diritto della direzione nazionale dell'Udeur, partito fondato da Clemente Mastella dopo la fine dell'esperienza dell'Udr cossighiana (e che, dopo aver preso parte alle elezioni politiche del 2001 con la Margherita, aveva proseguito il cammino da solo). Nel frattempo, peraltro, si era verificato un passaggio rilevante: un gruppo di iscritti alla Dc nel 1993 si era rivolto ad Alessandro Duce, ultimo segretario amministrativo della Dc, perché si attivasse per "risvegliare" la Dc ufficialmente mai sciolta; una delle azioni legali ottenne una certa attenzione dalla stampa, che credette alla versione in base alla quale il tribunale di Roma avrebbe invalidato gli atti del 1994 riattivando il partito storico (anche se così non era).
A occuparsi delle operazioni di tesseramento - almeno prima che le bloccasse lo stesso tribunale di Roma - era stata proprio la struttura della Rinascita della Democrazia cristiana, presieduta da Senaldi e coordinata dal friulano Angelo Sandri. Intanto, visto che dai tribunali non arrivavano buone notizie e che Rdc si poneva come partito, aveva colto l'occasione delle elezioni amministrative del 2001 e del 2002 per presentarsi alle elezioni, ma raramente lo scudo crociato arrivò sulle schede elettorali. Lo stesso Senaldi, per evitare contenziosi quando si candidò - fuori dai poli - alle elezioni provinciali a Varese nel 2002, fece elaborare un contrassegno nuovo, che in un cerchio bordato di blu con dodici stelle ricreava su fondo bianco una croce grazie a due pennellate rosse. Per qualche membro delle commissioni elettorali che ricevettero quel simbolo si trattava di una figura "sanguinolenta, due macabre pennellate da Grand Guignol che nemmeno lontanamente facevano ricordare lo scudo crociato della vecchia Dc", ma oggettivamente sulle schede (anche fuori da Varese: per esempio a Borgomanero, in provincia di Novara) ci arrivò e, pur se su territori limitati, rimase (al punto che la foto pubblicata dal quotidiano La Prealpina comprendeva proprio quel simbolo). Nel frattempo, a luglio del 2002, Senaldi era stato indicato come presidente della Dc che - a dispetto del primo stop dei giudici romani all'iniziativa di Duce - aveva continuato a operare scegliendo Sandri come segretario (iniziando, tra l'altro, la causa che sarebbe finita in Cassazione nel 2010, generando una serie di pronunce molto commentate, poco lette e ancor meno comprese); il livello di confusione della vicenda fu tale che, nel giro di qualche mese, lo stesso Senaldi si trovò citato in tribunale proprio da Sandri, perché smettesse di utilizzare il nome della Dc per il suo partito, rimasto in piedi.
In seguito, sempre nel tentativo di riportare sulla scena una Dc, Senaldi scelse di concorrere - sempre grazie al suo gruppo della Rinascita - a rinforzare la Democrazia Cristiana (poi per le autonomie) di Gianfranco Rotondi, operante dal 2005, senza scudi crociati (o loro surrogati), ma almeno con il nome storico concesso in uso dal Ppi - ex Dc (e dunque senza il rischio che qualcuno lo contestasse). Quella scelta riavvicinò Senaldi alla coalizione di centrodestra, probabilmente nella convinzione che fosse da quella parte la vera continuità politica con la sua esperienza democristiana. Non a caso, nelle sue ultime candidature la collocazione nel centrodestra è stata una costante, anche se sotto diverse insegne elettorali.
Nel 2014, per esempio, Senaldi fu inserito nella lista di Fratelli d'Italia del Nord-Ovest alle elezioni europee: quella scelta - che di fatto anticipò di otto anni quella fatta alle politiche del 2022 dallo stesso Rotondi - portò 518 preferenze a Fdi (che comunque non ottenne eletti, non avendo superato di poco lo sbarramento del 4% a livello nazionale). Quei voti raccolti erano decisamente in quantità minore rispetto al passato - i numeri sono in grado di parlare da sé - ma è probabile che Senaldi non l'abbia presa troppo male, continuando la sua professione senza smettere di guardare con attenzione alla politica, innanzitutto locale. 
La sua ultima candidatura, a quanto si sa, risale alle elezioni regionali lombarde del 2023, quando è stato inserito nella lista Lombardia ideale, formazione un po' civica e un po' contenitrice di varie esperienze a sostegno della ricandidatura di Attilio Fontana. Pure in questo caso il conteggio finale dei voti raccolti non deve essere parso troppo soddisfacente, se rapportato al percorso politico passato (49 voti in tutto, peraltro raccolti nella circoscrizione di Milano e non in quella "naturale" di Varese), ma Senaldi, che probabilmente immaginava che la competizione sarebbe stata difficile, la sfida l'aveva raccolta lo stesso e si era impegnato (aprendo anche un proprio ufficio a Milano e riallacciando contatti in loco). 
Non aveva peraltro rinunciato a fare politica con la "sua Rinascita della Democrazia cristiana: nel 2021, per dire, la Rdc aveva partecipato a due liste composite, presentate alle amministrative di Busto Arsizio e di Gallarate (in quest'ultima, denominata Centro popolare Gallarate, era candidato anche Guido Senaldi, uno dei figli di Carlo). La commissione elettorale, tuttavia, chiese di sostituire il simbolo in entrambi i casi: alla base della richiesta, a quanto si sa, non c'era una ritenuta somiglianza con lo scudo crociato, ma l'aver considerato come "soggetto religioso" le due pennellate del simbolo di Rdc. Si dovette correre rapidamente ai ripari e il simbolo fu ridisegnato con una sola pennellata: pur dimezzato e accanto ad altri, il simbolo di Senaldi riuscì a tornare sulle schede (e in entrambi i comuni concorse a ottenere un eletto). 
I passaggi descritti fin qui rendono evidente l'interesse per la figura di Carlo Senaldi da parte dei drogatidipolitica, anche di coloro che non sono particolarmente attratti dalle traversie e dalla diaspora dei democristiani. Si condividano o meno determinate idee e posizioni, non può non colpire la determinazione nel non demordere, su ampia o su ridotta scala, per poter portare avanti un messaggio in cui si crede e nel proporlo ad elettrici ed elettori, sperando di trovare chi lo accoglie una volta di più: Senaldi è rientrato certamente nel paradigma, essendo stato tra coloro che hanno fatto tutto questo, più che con il timore di nuove delusioni, con il sorriso e la serenità per non avere perso l'occasione di provarci.